E la proposta tedesca?
di Francesco Gui
La storia, in breve, è questa. Ancora in inverno di
quest’anno, si era appreso che la Cdu tedesca, e relativo governo, avevano
annunciato l’inizio del processo di unione politica europea, proponendo, tra
l’altro, l’elezione diretta del presidente della Commissione europea. A quel
punto, chi scrive, rallegrato e stimolato dalla notizia, si era affacciato
presso la Camera dei Deputati, insieme a qualche raro, ma non insignificante
amico, magari anche con pregevoli istituzioni culturali alle spalle. L’intento
era di suggerire di prendere in esame subito la proposta teutonica, mediante
dibattito da tenersi in loco con la
partecipazione di autorevoli esponenti politici e studiosi, tanto provenienti
dal di là delle Alpi, quanto domestici. Dopo ripetute confabulazioni in interiore corpore,
la Fondazione della Camera, presieduta da Fausto Bertinotti, si era dichiarata
disponibile ad ospitare l’incontro purché alla fine di maggio.
Nel frattempo, con l’eccezione del lodevolissimo Alberto Martinelli, comparso in argomento sul
“Corriere della Sera”, nessun uomo politico, studioso o giornalista si era
peritato di pronunciare una sillaba sulle soluzioni suggerite dal cattivo,
odioso, anche un po’ nazista governo germanico, renitente ad allentare i
cordoni della borsa a favore dei partner
europei. Anzi, talmente perverso da imporre a tutti un crudele fiscal compact, con cui i governi dell’eurozona si impegnavano a non
sforare eccessivamente con i loro debiti e deficit di bilancio. Mica come negli
States dove
la Fed paga a pie' di lista le esuberanze di spesa
degli stati a stelle e strisce (ma quando mai? ce ne sono alcuni, di stati Usa,
che hanno fatto persino bancarotta… Veramente?
Veramente).
A conferma e riscontro, la Fondazione della Camera,
dopo attenta valutazione, decideva che non valesse la pena di delibare sulla stravagante,
quanto impeccabilmente federalista soluzione istituzionale proposta dalla Regierung
berlinese, benché nelle more rinforzata da prese di posizione della signora cancelliera e del suo ministro degli Esteri. Cioè, insomma,
se ne poteva forse riparlare a settembre, ma senza impegno e senza, per carità,
oneri di spesa. E poi che motivo c’era, in fondo, di discutere del problema?
Bastava guardarsi intorno per accorgersi che una pletora di personalità
autorevoli, dal politico al cattedratico, al pubblicista, ormai avevano trovato
tutti la soluzione idonea alla crisi dell’Europa appesa per un filo alla sorte
dell’euro. La chiave di volta, ovvio, stava nella nascita della federazione, o
Stati Uniti d’Europa che dir si vogliano. Semplice, cristallino, o no?
Tanto cristallino che il tratto distintivo di siffatti
pronunciamenti rimaneva l’impalpabile genericità, o al massimo il
vagheggiamento di futuri percorsi che avrebbero dovuto portare, all’indomani
delle elezioni europee del 2014, a convocare una Convenzione costituente. La
quale Convenzione, da quel momento in poi, avrebbe dovuto elaborare un testo
costituzionale, che successivamente, bontà dell’Altissimo, e salvo andare a
picco come da dolorose esperienze precedenti, si sarebbe tradotto nella
federazione europea completa in ogni dettaglio.
Bah, a chi scrive e ai rari amici consenzienti
sembrava più concreto e concludente chiedere subito ai partner tedeschi come potesse funzionare la loro proposta, che
magari non prometteva il paradiso, ma che, tuttavia, una volta recepita dai
maggiori stati membri, avrebbe delineato subito un percorso da seguire, con, di
fatto, un solido ministro dell’economia, ovvero il presidente della Commissione
europea eletto, a farsi carico dell’uscita dal pantano budgettario-produttivo.
Da cui un presumibile effetto rassicurante anche sui mercati finanziari, a
tutela sia dell’euro, sia della scarsella del comune cittadino dell’Unione. Tanto
più che il governo berlinese non compariva come entità trascurabile sulla scena
continentale, se non altro perché tutto il mondo stava lì a insistere per
ottenere un travaso di spiccioli a pioggia dai forzieri germanici alle assetate
distese paneuropee. Sicché valeva almeno la pena di informarsi se, a fronte
dell’accoglimento delle proposte istituzionali di Merkel,
Schäuble e Westerwelle, ci
scappasse magari un assenso all’aumento del bilancio dell’Unione o persino ad
un qualcosa di somigliante agli agognati eurobond.
Pertanto la pattuglia dei volenterosi, fra cui lo
scrivente, tornava alla carica presso la sede della rappresentanza democratica
del nostro paese, ottenendo l’interessamento di un autorevole personaggio
parlamentare, del quale si tace il nome, al fine di sensibilizzare la
presidenza della Camera medesima sull’opportunità di esprimersi in merito all’insistita
proposta del governo tedesco. Ebbene, a distanza di circa un mese e mezzo, se
non oltre, il personaggio interessato ha evitato rigorosamente di fornire
almeno un cenno di riscontro. Strano, eppure la crisi dell’Europa e dell’euro si
stava facendo tanto grave che adesso, finalmente, qualcuno dava timidi segnali sulla
stampa dell’esistenza della stramberia tedesca. Forse aveva contribuito allo
scopo una recentissima sortita giornalistica dell’ambasciatore Deutschland in Italia, che provvedeva a rinfrescare a tutti
la memoria.
A questo punto, per farla breve, uno si chiede: ma a
cosa serve questa inerte classe politica italiana? A cosa fungono tanti
virtuosismi mediatici di desolante fumisteria? E il sistema universitario
pubblico assolve ancora alla funzione di think tank nell’interesse della collettività, o per caso la tripletta Berlinguer-Gelmini-Profumo lo ha ormai steso nel ruolo di
esamificio a punteggi, moduli, crediti e compagnia? E da ultimo, timidamente,
ma perché i federalisti di denominazione controllata stentano tanto ad
ammettere che forse anche il governo tedesco può aver avuto un’idea vincente?
Orgoglio ferito? Speranza di orizzonti e iniziative ancor più risolutive? Convinzione
di non praticabilità di un percorso che incontra, lo si ammetta pure, una
tenace resistenza francese? Tutti quesiti a cui la minima pattuglia, che non
demorde, cercherà di dare una qualche risposta nei prossimi tempi. Soprattutto tenterà
di approfondire, punto per punto, i tanti nodi in primo luogo istituzionali che
debbono essere sciolti con chiarezza assoluta, se si vuole davvero percorrere
il cammino dell’unione politica europea.
Da
Gli Stati Uniti d'Europa, n. 29, maggio 2012